lunedì 1 giugno 2020

Daniela Gioè


Esperienza a Pemba di Daniela Gioé
"L'esperienza a Pemba è stata unica e indelebile nella mente e nel cuore. Risale a luglio del 2003 ed è durata 2 mesi.
Siamo nel 2020 e per ripensare a quel viaggio avvenuto nel 2003 devo andare in un angolo del mio cuore che custodisco gelosamente.
Dopo due voli e una breve sosta nella capitale, sono arrivata in questo piccolo e bellissimo angolo di mondo. Ad accogliermi dei volontari che collaboravano con Laura con cui avrei poi condiviso questa incredibile avventura,e con alcuni di loro anche "la casa dei volontari". Questa casa è stato più che un rifugio, un punto di riferimento, si rientrava e ci si raccontava la giornata con gli altri ragazzi, condividendo cene, emozioni ed esperienze.
La sensazione che ho avuto dopo qualche giorno è stata quella di dovermi spogliare al più presto di tutte le convinzioni insite nella mentalità occidentale.
Tutti i miei sensi sono stati toccati: il gusto per i sapori nuovi, l'udito per il canto del gallo al mattino presto, il tatto prendendo in braccio tanti bimbi, l'odore di carbone sul fuoco, la vista di un mondo completamente nuovo e sconosciuto.
Laura che era in Italia al mio arrivo, aveva indicato di farmi fare un giro presso i vari centri che gestiva. Io tra tutti ho deciso di rimanere con i bimbi piccoli, orfani o con parenti che non riuscivano a badare a loro. Ad accudirli c'erano delle donne che lavoravano con Laura e io davo una mano. Aiutavo a fare loro il bagnetto, a mangiare. Me li coccolavo.
Sono stata anche con le ragazze-madri e con loro passavo un po' di tempo, facevamo teatro e cantavamo.
Una volta alla settimana andavo anche a Chuiba, piccolo angolo di Paradiso, a fare le stesse attività con ragazze che vivevano in un lontano villaggio.
Diverse volte mi sono sentita impotente, inutile. Avrei voluto fare molto di più, forse avrei voluto erroneamente occidentalizzare quella parte di mondo, senza soffermarmi sull'equilibrio che comunque quella società aveva.
Ho visitato anche il centro con bambini affetti da idrocefalo. Lì non sono riuscita a fermarmi, era troppo per me.
Ho visitato l'ospedale, anzi ci sono finita anche come paziente perchè ho preso la malaria. Il mio nome e la diagnosi era stata scritta su un pezzo di carta del pane che ancora conservo. Ho avuto paura.
Ho pianto tanto, ho condiviso il senso di impotenza, una parte di me non credeva che il mondo cosiddetto civilizzato non riuscisse a fare qualcosa di più.
Non finirò mai di ammirare l'incredibile lavoro svolto da Laura, il suo coraggio e la sua forza.
E' un'esperienza che mi sento di consigliare a tutti, per conoscere un'altra cultura, dare concretamente una mano a chi ne ha bisogno e per tornare in profondo contatto con sé stessi.
Con profondo affetto,
Dany"

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