lunedì 1 giugno 2020

Annalisa Piccolrovazzi - Esperienza a Pemba


Esperienza a Pemba
di Annalisa Piccolrovazzi

Nel raccontare la mia esperienza a Pemba mi appaiono davanti agli occhi tante immagini, tante emozioni e soprattutto una grande SAUDADE.
Parliamo ormai di tanti anni fa, era il 2002, quando in occasione di un viaggio per andare a trovare una mia carissima amica, sono capitata a Pemba. Ma come credo io, nulla è per caso. Quei tre giorni a Pemba sono stati l’inizio di lunghe e fantastiche avventure in Mozambico.
Laura stava per aprire la Casa Azul, dedicata ai bambini disabili, e io lavoravo in quel campo. E secondo voi è solo una coincidenza? No..
Tornata a casa, sentivo il richiamo forte di quei bambini, sentivo già il cuore diviso a metà. Non è stata una scelta facile. Il chiedere aspettativa al lavoro, la famiglia (per mia mamma era un capriccio), le paure di quello che poteva succedere.
Ma sono partita per quella che è stata, per sei mesi, una gran splendida avventura. Non è stato sempre facile anzi, ma quella terra e soprattutto quelle persone mi hanno rubato il cuore. Quanto sono importanti i legami... sono tutto nella vita!
Non è facile spiegare cosa ho provato, quanto ho amato, quanta rabbia ho provato. Quanto è stato difficile vivere perché tante volte; non c’era tutto quello a cui ero abituata ma gli sguardi di quei bambini mi ripagavano di tutto. Ho visto morti, dolori ma sempre con gran dignità. E’ stato difficile tornare a casa, molto difficile riambientarsi. Ogni anno aspettavo le ferie per poter ritornare. E questo è stato fino a quando non mi è stato più possibile andare, forse perché la paura me lo impediva. Ad oggi so che il mio cuore è rimasto lí e che un giorno ci tornerò. Laura dice che molto è cambiato da allora, ma io ancora sento l’odore di quella terra che mi inonda l’anima e il ricordo di quei volti che rimarranno nel mio cuore.
Pemba rimarrà sempre nel mio cuore per scaldarmelo con i suoi colori, con i volti e quello che ho vissuto.
Non voglio aggiungere altro, troppo sarebbe da scrivere e con i sentimenti di anni passati. Vi lascio con una lettera che ho scritto ai miei amici mentre ero a Pemba. Dalle quello scrivere spero di trasmettervi cosa è stata per me questa esperienza che spero di ripetere al più presto.

“Ciao a tutti,
sono appena tornata a casa dal “lugar” dove lavoro e mi trovo davanti a questo computer con la voglia di scrivere cosa ho provato oggi!! Sono sola, Daniela, una volontaria che è venuta qui per un mese e che per me è stata molto preziosa perché con lei sono entrata subito in sintonia, nonostante la diversità, deve ancora arrivare a casa. Penso a quello che ho sentito oggi e che ancora adesso mi "tormenta". Sento un senso di rabbia, di impotenza, di ingiustizia, un miscuglio di sentimenti contrastanti che però augurerei a tutti di provare per sentirsi vivi, pronti, attenti!!... Mi trovo a Casa Azul (si chiama cosi il centro dove lavoro), un posto meraviglioso dal punto vista naturalisco: 4 casettine con tetto in paglia circondate da baobab grandiosi … Al tramonto é uno dei luoghi più belli di Pemba e la notte, la luna e le stelle sembrano cosi vicine che sembra di poterle toccare con un dito ... Dio non poteva fare però il Paradiso sulla terra ... Arrivo in sella alla moto di Aba vestita come una di loro, con la “capulana” (io che odio le gonne)… É lunedì… Vedo i miei bambini così belli nonostante la loro bruttezza fisica, così desiderosi di affetto di amore … Una sola di loro riesce a parlare … Me li coccolo … Ci gioco … Guardo le loro testone grandi, così pesanti e i loro corpi piccoli, indifesi… Vedo il loro amore e la loro voglia di vivere, nonostante tutto … Africa… Europa … Oggi è una bella giornata di lavoro, la riunione di sabato è servita (almeno sembra) e vedo qualcosa di diverso nelle donne. Arriva Valquiria (la volontaria psicologa brasiliana che è venuta  qui con la sua famiglia per due anni per lavorare e riscoprire le sue radici aricane), pranziamo, come al solito “chima” con “matapa” (cioè polenta bianca e un miscuglio di verdure che a me piace tanto). Parliamo un po’, peccato la lingua non ci permetta di fare grandi discorsi… Oggi mi permetto anche un caffè italiano, piccoli sapori di casa … Arriva una donna con una bambina sulla schiena, ha appuntamento con Valquiria per vedere se possiamo accogliere la figlia. Sono invitata alla riunione. Lontanamente può assomigliare ad una riunione del mio lavoro, siamo sotto il nostro gazebo di paglia, questa donna è triste e la figlia rappresenta la madre nella sua tristezza. Guardo la bimba, non sembra idrocefala come gli altri ma ha qualcosa di particolare. La madre incomincia a raccontare la sua storia con voce bassa e lo sguardo rivolto a terra; rimango meravigliata: questa bambina ha il certificato di nascita, il mondo sa che esiste! Guardiamo le "cartelle cliniche": deficienza fisica, sindrome di down… Ci guardiamo stupite he a Pemba che dicano questa cosa! Guardiamo la bambina, ci facciamo mostrare alcune parti del corpo e scopriamo che non è sicuramente Down, è una bimba nana. La madre racconta … Vuole lasciare la bimba da noi tutto il giorno perché non ha una casa sua, non ha da mangiare, non ha soldi, è sola e ha un’altra figlia; il papà di queste bambine l’ha abbandonata quando lei era ancora incinta. Vive in una casa che era della zia, a Pemba, ma in breve dovrá lasciarla. Lei viene da lontano ma ha saputo di Laura… Racconta di questa bambina, di come era contenta quando ha saputo che era incinta , la tristezza di apprendere che è una bambina con problemi, l’abbandono da parte di suo marito e molte altre cose di una vita difficile e triste. Alla madre diciamo che questa bimba non ha problemi mentali e che dipende da lei la sua crescita. Ci guarda, dice di sí, ma il suo sguardo rimane triste. Offriamo dei biscotti a questa bimba che non ha ancora due anni e se ne divora 4 in due secondi. Offriamo altri due pacchetti per la bimba, sapendo però che li mangeranno sia la mamma (dovevate vedere i suoi occhi) che la sorella. Ci chiede se abbiamo del latte (in polvere naturalmente) ma non ne abbiamo. Spiega che di notte la bimba piange e lei non ha altro che del succo (sono delle polverine di bassa qualitá). La bimba si chiama Esperança, Valquiria chiede il perché di questo nome così bello ed importante e lei ci guarda di nuovo con tristezza: speranza che il suo uomo tornasse. Valquiria la conforta dicendole: “ Speranza in una vita meravigliosa per questa bimba!” Non vedo nemmeno un piccolo sorriso sul viso di questa bimba nonostante cerchi di giocare con lei. Si alzano e, sempre con tristezza, se ne vanno. Valquiria mi guarda e legge nel mio cuore, mi stringe un braccio e mi chiede cosa sto provando; dico solo “Italia” e mi scendono delle lacrime. Parla lei: impotenza, ingiustizia, rabbia, nullità e non so cosa… Già nascere in Africa è difficile, poi con questi problemi … Vedo quel viso di bimba e di mamma e penso, penso... Ritorniamo dagli altri bambini ma la mia testa rimane su quei sguardi tristi, quanti altri ne vedrò e milioni che non ho visto, sono impotente, ma consapevole di vivere qualcosa di speciale. É ora di andare. Vedo un’ultima scena: Helena, una bimba idrocefala che non vede, non sente, borbotta solo e non cammina, viene lasciata sola con il rischio che cada; la guardo, Valquiria mi guarda, mi chiama e mi dice: “Annalisa non parli bene il Portoghese ma i tuoi occhi e la tua faccia dicono di più!”
Prendiamo un passaggio ed entro nel mio “bairro” di Cariacò (il quartiere dove vivo), tutti i bimbi del vicinato mi corrono incontro e mi salutano: “ mana Annalisa! Mana Annalisa! Salama!” (“Salama”é il loro saluto). Una di loro mi da la sua manina, oggi però non ho voglia di scherzare e giocare, li saluto, entro nella mia casetta, sono sola e sento la voglia di condividere questa esperienza. Penso ai miei amici e scrivo.

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